Cassandre, pittore di manifesti

[ Modelli ]

Ironicamente, per uno dei designer più celebrati del suo periodo, Adolphe Jean-Marie Mouron aveva deciso di diventare un pittore, una volta uscito dalla scuola superiore. Se si dedicò all'arte del poster, sotto il nome di Cassandre, lo fece poiché sperava che quell'attività lo avrebbe reso abbastanza autonomo e indipendente da potersi presto dedicare alla "vera" pittura. Invece, il poster design iniziò ad esercitare un fascino irresistibile su di lui: la vedeva come un'arte in grado di "dare al pittore un'opportunità d'oro per comunicare con il pubblico".

A venticinque anni scrisse con grande lucidità che "il poster non è pensato per essere un esemplare unico consacrato ad un singolo amante dell'arte, ma un oggetto di produzione di massa che deve avere una funzione commerciale. Progettare un poster significa risolvere un problema tecnico e commerciale... in un linguaggio comprensibile dall'uomo comune". A causa di questo fondamentale bisogno di chiarezza, e poiché egli desiderava dar vita a poster grandi, ma rischiava di vederli distorti dal processo di ingrandimento, Cassandre si rivolse all'architettura e alla geometria come strumenti per disegnarli. E così giunse ben presto a mediare le libere interpretazioni figurative della tradizione del cartellonismo francese con le rigorose composizioni costruttiviste di Lissitzky e Moholy-Nagy, troppo estreme per lui.

Ben presto fecero sentire il loro influsso anche il cubismo, il secondo futurismo italiano di F. Depero e il purismo di Le Corbusier: di quest'ultimo fu amico (tanto da chiedergli di progettare la sua prima casa) ed estimatore, in particolare delle sue ricerche sulla modularità strutturale trattate in "L'esprit Nouveau".



[ Originalità ]

Egli, comunque, mantiene uno stile preciso e definito, che lo distinguerà dagli altri operatori della sua generazione (gli altri "moschettieri" come sono conosciuti, ossia Loupot, Carlu, Colin). La sua arte è molto sintetica, simbolica, bidimensionale, "come la vetrata medievale, la tapisserie, l'immagerie popolare, l'affresco agli inizi del Quattrocento".

Il tutto sostenuto soprattutto dai valori plastici, dai contrasti cromatici, dal rigore geometrico. Egli riesce ad infondere agli elementi astratti della composizione una dinamica molto particolare, introducendo in alcuni casi la linea diagonale, sulla quale, come nel manifesto "Au Bucheron" colloca l'elemento figurativo in silhouette.

Cassandre sembra cogliere, con largo anticipo e a livello intuitivo, che la vitalità di un'immagine "è generata dalla tensione tra le forze spaziali, cioè dalla lotta fra attrazione e repulsione dei campi di queste forze" come più tardi verrà teorizzato da operatori visuali come Gyorgy Kepes. L'affiche non è dunque inteso da Cassandre come un quadro, ma piuttosto, per dirla con un'espressione lecorbusiana, deve essere vissuto come "une machine à annoncer".

Da uomo intelligente e colto, in più occasioni ha commentato su pubblicazioni di settore la sua interpretazione sull'arte grafica, specialmente riferita al manifesto. Egli sostiene che l'affiche deve risolvere contemporaneamente tre problemi:

1) Ottico; la visibilità non dipende da un semplice contrasto di colori, ma da un preciso rapporto tra i valori di campo.

2) Grafico; esprimersi in senso ideografico ed emblematico. L'immagine è il veicolo stesso del pensiero, ed anche se con un vocabolario grafico limitato, è necessario adottare una grammatica, una sintassi per raggiungere l’armonia.

3) Poetico; provocare nello spettatore un'associazione di idee, una sensazione visuale fuggitiva, un'emozione, cosciente o incosciente…